Il tempo che corre da gennaio a metà febbraio, nella saggezza contadina, è detto “dei santi” (Ilario, Antonio, Biagio) ed è ritenuto il più freddo dell’anno; il culmine poi, sempre secondo le credenze contadine, è identificato con “i giorni della merla”, gli ultimi tre giorni di gennaio.
In questo periodo in campagna, avveniva la mattanza dei maiali; a casa mia ce n’era uno, (chiaramente parlo di tanti anni fa), uno a casa dello zio e uno l’aveva l’amico vicino di casa.
Per ammazzare il maiale occorreva collaborazione ed allora le tre famiglie si univano e stabilivano quale doveva essere il primo a subire, poi era la volta del secondo e in fine del terzo.
L’evento era molto impegnativo; il giorno stabilito, le famiglie dovevano preparare tutto il necessario: acqua sempre bollente, secchi per la raccolta del sangue, contenitori per sistemare le varie parti sezionate, supporti muniti di grandi e forti chiodi cui appendere la povera bestia per poterla scuoiare e sezionare con facilità.
La fine del maiale alimentava una grande gioia in famiglia: era il raccolto di tanto lavoro e dava alla stessa la sicurezza alimentare per un anno intero, fino alla prossima; chi aveva un maiale su cui contare, era considerato un fortunato benestante.
La morte della bestia era vissuta con allegria; il boia, aiutato da due collaboratori collaudati, era un professionista e si presentava la mattina di buon’ora; la famiglia interessata, naturalmente, era già pronta per la prova, bambini compresi, che per l’occasione non andavano a scuola ed a loro era concesso di aiutare a tenere fermo il maiale brandendo con forza il codino.
Tenere fermo il maiale, affinchè il boia potesse sferrare il colpo mortale, era un compito arduo e impegnava uomini, donne e bambini; ognuno aveva una sua posizione da tenere e tutti, protesi al compimento della macabra missione. Ad animale immobile, scoppiava un felice battimani ed era l’inizio vero della festa.
I lavori di sezionatura e la preparazione delle parti per garantirne una conservazione annuale, durava qualche giorno, intanto gli odori della carne, del sangue e delle chiacchiere festose dell’allegra compagnia invadevano i dintorni e non era raro che qualche povero passante, si offrisse d’aiutare per rimediare un gustoso pranzo.
Il periodo della lavorazione per noi bambini era una goduria ed era norma che si partisse subito a pranzo con il cuore dell’animale cotto sulla brace, ma poi alla sera c’era il fegato e il giorno dopo il sanguinaccio con l’uvetta, il rognoncino trifolato e le salamelle. Era solo l’inizio, il povero maiale compariva quasi quotidianamente sulla tavola per tutto l’anno a venire, regalando delizioso benessere e allegria.